mercoledì 30 maggio 2012

PROCESSO ANDREOTTI: Ma è proprio vero che è stato assolto?


La sentenza di cassazione ha emesso: Andreotti condannato per i reati a lui imputati fino al 1980


di Enzo della Croce, 30 Maggio 2012



Molti hanno avuto modo di conoscere il responso del processo Andreotti solo grazie al salottino di "Porta a Porta" nota creatura del palinsesto Rai che da più di 15 anni domina sulla scena televisiva italiana,  ideata e condotta da Bruno "leccalecca" Vespa; per cui hanno una versione "romanzata" del verdetto della corte di Cassazione, pronunciatasi il 2 Maggio 2003.
Chissà quanti di voi ricorderanno il titolone che albeggiava sullo schermo del talk show di Vespa all'indomani della sentenza di primo grado del 23 Ottobre 1999: "ASSOLTO"; i festeggiamenti per il "Giglio Giuliopluri-Presidente del Consiglio ( 7 volte per l'esattezza) si sprecavano quella sera, nemmeno la vittoria della nazionale di calcio ai mondiali del 1982 in Spagna o del 2006 in Germania.


Ma con grande dolore di Bruno "scodinzola" Vespa ed i suoi compari, la sentenza della Corte d'Appello ribalta tutto, condannando il "Gobbo" per i reati a lui imputati fino al 1980:  «reato di partecipazione all'associazione a delinquere» (Cosa Nostra), reato però «estinto per prescrizione».
Se la sentenza definitiva fosse arrivata entro il 20 Dicembre 2002 (termine per la prescrizione), Andreotti sarebbe stato condannato in base all'articolo 416, cioè all'associazione "semplice" (poiché quella aggravata di stampo mafioso (416-bis) fu introdotta nel codice penale soltanto nel 1982, grazie al relatore Pio La Torre, parlamentare e Segretario del Pci nella regione Sicilia ucciso dalla Mafia nello stesso anno in cui fu introdotta la suddetta legge) a 15 anni di reclusione. 
Per i fatti successivi al del 1980 Andreotti è stato invece assolto.


Cita la sentenza di cassazione:
« Pertanto la Corte palermitana non si è limitata ad affermare la generica e astratta disponibilità di Andreotti nei confronti di Cosa Nostra e di alcuni dei suoi vertici, ma ne ha sottolineato i rapporti con i suoi referenti siciliani (del resto in armonia con quanto ritenuto dal Tribunale), individuati in Salvo Lima, nei cugini Salvo e, sia pure con maggiori limitazioni temporali, in Vito Ciancimino, per poi ritenere (in ciò distaccandosi dal primo giudice) l'imputato compartecipe dei rapporti da costoro sicuramente intrattenuti con Cosa Nostra, rapporti che, nel convincimento della Corte territoriale, sarebbero stati dall'imputato coltivati anche personalmente (con Badalamenti e, soprattutto, con Bontate) e che sarebbero stati per lui forieri di qualche vantaggio elettorale (certamente sperato, solo parzialmente conseguito) e di interventi extra ordinem, sinallagmaticamente collegati alla sua disponibilità ad incontri e ad interazioni (il riferimento della Corte territoriale è alla questione Mattarella), oltre che alla rinunzia a denunciare i fatti gravi di cui era venuto a conoscenza. »




I giudici quindi hanno creduto alle testimonzianze dei pentiti Tommaso Buscetta, Balduccio di Maggio, Leonardo Messina e Giovanni Brusca.



Per dovere di cronaca, voglio ricordare un episodio increscioso del 1974:
Paolo Sylos Labini, noto economista venuto a mancare il 7 Dicembre 2007, all'epoca membro del comitato per la programmazione economica del bilancio, successivamente alla nomina a sottosegretario di Salvo Lima, le cui frequentazioni erano molto note nell'ambiente politico (figlio di un mafioso, citato ben 126 volte nelle relazioni della commissione antimafia, ripetute richieste dei giudici a procedere nei suoi confronti chiaramente spazzate via dal parlamento a maggioranza DC-PSI)  voluta dall' allora Ministro del Tesoro e del Bilancio Giulio Andreotti, lamenta dilemmi sulla sua compatibilità con Lima; difatti, nel processo Sylos Labini dichiarerà, in sintesi:

«Ho espresso il mio dissenso per la nomina a sottosegretario dell'onorevole Lima, conoscendo il personaggio, al Presidente del Consiglio on. Aldo Moro che mi ha risposto affermando che preferiva non pronunciarsi in merito in quanto riteneva il Lima un personaggio molto potente e pericoloso; allora mi sono pronunciato col ministro Andreotti, descrivendo chiaramente il mio disappunto per questa nomina, motivando che io sono una persona per bene, quindi qui o c'è Salvo Lima o ci sono io»

Ovviamente Andreotti sceglie Salvo Lima, e lui si dimette.


La sentenza riporta alcune verità giudiziarie sconcertanti, la III a dir poco raccapricciante:
  1. Andreotti sapeva che Salvo Lima era il referente politico della Mafia in Sicilia assieme a Vito Ciancimino (che ogni mattina alle 7 in punto si recava in Chiesa dal proprio consigliere spirituale per confessarsi) e nel processo aveva negato di sapere nulla al riguardo;
  2. Sapeva che i cugini Antonino ed Ignazio Salvo, potenti esattori di Palermo, democristiani ed appartenenti alla sua corrente, denominanta "Primavera" come Lima e Ciancimino, erano collusi con Cosa Nostra (lui aveva affermato nel processo di non conoscerli neppure);
  3. Nell'estate del 1979 Andreotti va a Palermo perchè chiede di incontrarlo l'allora Capo dei Capi di Cosa Nostra, Stefano Bontade, che si lamenta del comportamento di Piersanti Mattarella, che non è un comunista ma un democristiano, Presidente della Regione Sicilia, perchè sta infastidendo i cugini Salvo minacciando con testuali parole: « O Mattarella cambia registro o qui per lui finisce male »;  Andreotti, terminato l'incontro torna a Roma, non avverte Mattarella del pericolo che sta correndo, non gli rafforza la scorta, non avvisa i Carabinieri e la Polizia di Palermo, non fa praticamente nulla; il 6 Gennaio 1980 Mattarella viene assassinato con due colpi di arma da fuoco davanti al cancello della sua abitazione, in macchina, sotto gli occhi del figlio di 5 anni e di sua moglie. Sei mesi dopo Andreotti, stavolta, chiede lui d'incontrare Bontade e lo incontra per chiedere spiegazioni sulla morte del Presidente della Regione, suo compagno di partito; il boss gli risponde:  « Bè noi vi avevamo avvertito e d'ora in poi comandiamo noi; fate quello che vi diciamo di fare altrimenti vi togliamo i voti in Sicilia, in Puglia, in Calabria ed in Campania ».
Se scrivessero in una sentenza una cosa simile su di me, non uscirei più di casa, invece il "Divo Giulio", è rimasto senatore a vita, frequenta abitualmente il Senato (il centrodestra nel 2006 lo ha addirittura proposto come Presidente del Senato), consacratore di svariate comparsate ed ospitate nei più notori talk show televisivi (Porta a Porta, Buona Domenica...), parla del Papa, delle "Madonne Piangenti", cita di De Gasperi...
Io non ho idea di che cosa farebbe De Gasperi oggi, se fosse vivo e leggesse quello che c'è scritto in quella sentenza; come minimo lo prenderebbe, lo attaccherebbe di spalle al muro e lo piglierebbe a calci nel sedere a ripetizione fino allo spasmo.
E' impressionante che questo signore vada in televisione a dare lezioni di moralità a gente che con la Mafia non ha mai avuto e non avrà nulla a che fare.

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