sabato 30 giugno 2012

Ucraina, “i soldi destinati ai bimbi malati di cancro sono stati usati per Euro 2012″


I soldi originariamente destinati alla costruzione di un ospedale pediatrico oncologico, in Ucraina, sono stati dirottati per coprire le spese degli Europei di calcio 2012. Questa la denuncia di diverse Organizzazioni non governative ucraine ed internazionali, tra le quali l’italiana Soleterre , associazione che si occupa proprio di bambini malati di tumore e dei reparti di oncologia e neurochirurgia.
La promessa da parte del governo ucraino era di costruire un reparto di oncologia per permettere il trapianto di midollo da non parenti, presso l’ospedale pediatrico Oxkhmatdyt di Kiev.

Attualmente i piccoli malati per operarsi devono recarsi in altri Paesi e per farlo, i loro genitori sono costretti ad un grande impegno economico. Si legge nella lettera di denuncia delle Ong: “Col decreto governativo numero 433 del 21 maggio 2012, relativo ad alcune modifiche da apporre al programma statale per la preparazione e lo svolgimento della fase finale del Campionato Europeo di Calcio in Ucraina nel 2012, il governo ucraino ha ridotto di 349 milioni di grivne (34,9 milioni di euro circa) le dotazioni del bilancio statale in precedenza allocate all’ospedale pediatrico Oxkhmatdyt, che sono passate da 399 a 50 milioni di grivne. E nello stesso decreto è stato deciso di aumentare le allocazioni destinate a Euro 2012 di 340 milioni di grivne, portando il totale destinato dal governo ucraino agli Europei a quasi 21 miliardi di grivne”.

“La quantità di soldi in ballo non è molta chiara – spiega Natalia Onipko, presidentessa di Zaporuka (una fondazione costituita da Soleterre a Kiev) -, addirittura Kulikov, deputato del partito United Center, ha recentemente dichiarato che il bilancio dello Stato per il 2012 non include fondi per la costruzione di nuovi edifici di Okhmatdyt. E poi scherzando ha aggiunto che qualcuno ha deciso di rubare in anticipo e alla rinfusa”.

Damiano Rizzi, presidente di Soleterre, racconta a Il Fatto Quotidiano: “Il sistema sanitario in Ucraina è collassato due volte, con il crollo dell’Urss e con la tragedia di Chernobyl, i cui enormi danni per la popolazione oltre che fisici, con il drastico aumento dei tumori, sono stati psicologici, con una popolazione paralizzata e spaventata . Poiché manca la possibilità di effettuare le diagnosi – continua Rizzi – i bambini arrivano con tumori in stati avanzati negli ospedali e qui, nelle strutture preposte, mancano i pediatri, le strumentazioni necessarie. I bambini del reparto di neurochirurgia sono ammassati nei corridoi. Ora, per esempio, è finita la chemioterapia: anche negli ospedali pubblici se la può permettere solo chi ha i soldi”.

E’ sotto gli occhi di tutti la dilagante corruzione presente nel Paese e che impedisce di raggiungere un buon livello qualitativo nella sanità ucraina. In questo settore si attuano spessissimo manovre per il riciclaggio di denaro sporco per opera di politici ed amministratori locali insieme a qualche omologo italiano.

Il problema è così grave che l’Unione Europea ha attivato specifici programmi in Ucraina per la lotta alla corruzione, proprio in ambito sanitario. Impact, un dipartimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo sotto controllo diversi laboratori ucraini sospettati di produrre farmaci falsi i quali verrebbero poi acquistati dal Ministero della Sanità. Per quanto riguarda la corruzione il Presidente di Soleterre dichiara: “Non posso fare nomi, per non mettere in difficoltà tutte le persone che lavorano sul campo. Le ritorsioni sarebbero molto pericolose”.

Le Ong che hanno denunciato la sottrazione di denaro, temono che anche per l’ospedale pediatrico di Oxkhmatdyt si ripeta il vergognoso caso del Children’s Hospital of The Future: megastruttura ospedaliera alla quale era destinato un budget milionario e che non ha mai visto la luce.

Il ministro ucraino Azarov assicura che i soldi non siano stati tolti all’ospedale pediatrico di Oxkhmatdyt, ma solo “prestati” agli Europei. Chissà perché, non ci crede nessuno.




La cura di Renzo Piano: "ruspe e fantasia"


Intervista a Renzo Piano: La sua ricetta per difendere il paesaggio. Un premio nelle langhe. La bellezza del paesaggio rovinato dall'uomo si può difendere con le ruspe e con la fantasia


Con la dinamite e con la matita. «Ci sono capannoni industriali che deturpano un fondovalle e nascondono la prospettiva di una collina. Allora, se è possibile, bisogna comprarli per entrarne in possesso e poi abbatterli. Oppure armonizzarli provando a nasconderli un po', dando aria e verde a quelle strutture».
L'architetto della leggerezza ha ricevuto sabato il premio «Estetica del paesaggio agrario», assegnato dall'Enoteca Regionale del Roero, e parla tra vigneti meravigliosi. Ma Langa e Roero hanno conosciuto negli ultimi decenni, insieme alla ricchezza del vino e della terra, anche l'oltraggio del cemento e dei nanetti da giardino, a difesa di assurde villone hollywoodiane.



Troppo tardi per intervenire?


«Non è mai tardi e non è un'utopia. Non è solo giusto, è anche utile, perché l'Italia è un paese fondato sulla sua bellezza anche come risorsa economica, è questo il vero capitale».

Lei cosa farebbe, per cominciare?


«L'idea inglese, seguita di recente dal Fai, è quella di acquistare gli orrori e poi demolirli. Però non bisogna essere integralisti: non credo che questa sia l'unica soluzione, perché insieme alle pietre esistono le persone, e un brutto capannone può anche dare lavoro o riparo».

Si può almeno mimetizzare?


«C'è una vecchia battuta: i medici nascondono gli errori sottoterra, gli architetti dietro gli alberi. Invadere di verde una brutta costruzione è già qualcosa, far salire un'edera lungo un muro può sembrare banale però è una prima ipotesi. Il verde si può mettere attorno, sopra e dentro, aprendo gli spazi, facendo respirare gli 
edifici».

Demolire significa andare contro l'idea di crescita?


«L'unica crescita giusta è quella sostenibile, anche nelle città che stanno implodendo, anche nelle periferie, non solo nelle nostre campagne. La prima cosa è conoscere il territorio, qualunque territorio. Esiste una parola di moda, "deregulation", elegante e terribile: nel suo nome non si può rinunciare all'attenzione e alla difesa dell'ambiente».

Non pensa che le architetture umane abbiano spesso rovinato o compromesso quelle naturali?


«La bellezza che più mi commuove è quella segnata dalla mano dell'uomo. La campagna piemontese, come quella ligure, è un disegno di fatica attraverso le generazioni. E' terra conquistata e poi addomesticata. Invece la natura pura e semplice dopo un po' mi annoia. Guardo un tramonto, un orizzonte marino, una nuvola e dico "bello!". Ma dopo mezz'ora, dico anche: "bello, e poi?". La vera bellezza non ci si stanca mai di guardarla».

L'Italia è un paese sensibile alla difesa del bello?


«Pochissimo, quasi niente. Se fossimo la nazione ideale, a questo penserebbero le autorità. Invece la spazzatura e la barbarie conquistano spazio».

Lei ha parlato di umanesimo a proposito della difesa del paesaggio: in che senso?


«Perché se io guardo queste colline, vedo il lavoro di nonni e bisnonni ma anche la presenza delle generazioni future. Intuisco la radice concreta delle cose e la suggestione visionaria di chi esplora nuovi territori. Questo è umanesimo».

Servirebbero le ruspe anche in certe nostre periferie? Oppure per abbattere il delirio di alcuni architetti comunali?


«La periferia ha senso quando diventa un luogo di riti collettivi, di lavoro e di cultura, insomma di vita. Anche lì, le pietre magari orrende contengono esistenze e uomini. Abbattere e basta, come a un certo punto decisero i francesi, ad esempio in alcune zone di Lione, non è l'unica soluzione. Io sono più per la trasformazione anche degli errori nel cuore delle città. Niente è irreparabile, in architettura».

Quando comincia a saltare l'equilibrio?


«Con una piccola svista iniziale, basta pochissimo. La reazione a catena che ne consegue può essere devastante».

C'è questa parola, leggerezza, di cui oggi si fa grande uso e forse abuso: cos'è, per lei?


«E' la fatica di vincere la legge più pesante di tutte, cioè la gravità. Mi batto contro la sua severità anche se uso materiali per loro natura pesantissimi, dunque non è facile. Ma sono molto cocciuto, anzi è questa la mia prima virtù».

Nel Roero hanno inventato uno slogan interessante: «Lasciare libero il paesaggio», e segnalano il bello prima di denunciare il brutto. Come si può tradurre questo principio in realtà?


«Con l'emulazione. L'idea di un premio in difesa del paesaggio è davvero giusta, perché può essere applicata ovunque. Sogno un'Italia di enti pubblici e privati, amministrazioni comunali e persone che facciano a gara per cercare la bellezza, per riconquistarla, se necessario anche pagandola in contanti, e così sottraendola ai barbari».




In che modo realmente la pianificazione urbana può contribuire a creare community spirit e inclusione a livello locale?

E’ una domanda molto complessa. Può riuscirci attraverso un approccio legato alla crescita. Che le città debbano crescere, trasformandosi e mutandosi, è sicuro: basta che smettano di crescere dilagando, esplodendo, creando nuove periferie. Questo è per cominciare, così almeno si tiene l'energia lì, almeno all’inizio, per non buttarla tutta fuori. L’idea di implosione ha a che fare con questa immagine, significa guardare dentro, completarsi dall’interno. È in questo momento poi che comincia il bello, sennò l’energia si disperde. A questo punto si parla di trasporto pubblico, smetterla coi parcheggi.
Quali sono gli altri elementi di questo mix necessario per non disperdere le energie urbane?

Bisogna fecondare le città con delle attività culturali, che sono anche disperse ma rappresentano luoghi fondamentali di civiltà di incontro e di scambio. Ha a che fare con l’energia, i consumi delle città, con la spazzatura e con tutte le altre mille cose che a questo punto vengono fuori. Il punto da cui cominciare è che non bisogna più disperdere l’energia.
In che modo la città europea può influenzare la città mondiale soprattutto in un momento di crisi?

Fortemente, soprattutto in un momento di crisi perché la città europea possiede queste caratteristiche a cui ho accennato e le possiede molto forti. Una città come New York ad esempio ha queste caratteristiche ma non le possiede in maniera così chiara e limpida. Costruire ad esempio il nuovo campus della Columbia University ad Harlem, con un fenomeno di gentrification, con la trasformazione di Harlem in qualcosa di diverso, è comunque un progetto di urbanità, di urbanizzazione perché la Columbia University è un centro di ricerca, piena di giovani, non ha un centro commerciale.
Cosa insegna al mondo la città europea?

La città europea insegna a non specializzare i pezzi di città, insegna soprattutto a non fare città solo per lo shopping o solo per gli affari ma a mescolare le diverse funzioni.

venerdì 29 giugno 2012

Terremoto in Emilia, Salvatore Settis: invece di prevenire continuiamo a cementificare

così il territorio è più fragile e aumentano gli effetti dei terremoti; esiste un meraviglioso piano per la protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico che non è mai stato attuato




Salvatore Settis, ex rettore della Normale di Pisa, racconta e spiega: «L’Italia è un Paese ad alto rischio sismico, ormai lo sappiamo tutti, eppure ogni volta che c’è un terremoto ci sbalordiamo. Perché? Perché invece di intervenire seguendo la strada indicata dall’articolo 9 della Costituzione e dall’articolo 33 del Codice dei Beni Culturali, ci facciamo trovare impreparati ogni volta?

Il XX secolo è stato costellato da calamità continue, dal 1908 a Messina al 2009 all’Aquila, da sud a nord, e l’Italia rischia continuamente di sfigurare la propria bellezza, fragile, non solo per le catastrofi naturali, ma anche per l’incapacità di intervenire. Da 
I rimedi contro i terremoti di Pirro Ligorio dopo il terremoto di Ferrara del 1570 a Il peso economico e sociale dei disastri sismici in Italia scritto da Emanuela Guidoboni nel 2011, il panorama è chiaro. L’Italia è il Paese in cui il patrimonio culturale è l’identità di un’intera nazione e di ogni singolo cittadino; dove il genius loci rivive in ogni campanile, torre, pianura, spiaggia; dove non esistono architetture minori, ma un immenso paesaggio da tutelare. È anche, però, un Paese ad alto rischio idrogeologico, franoso, soggetto all’erosione delle coste, alla costruzione invasiva, alla speculazione edilizia e, afferma perentorio Salvatore Settis, all’illegalità.

Benvenuto il Governo Monti ad arginare l’illegalità in cui il governo Berlusconi aveva fatto piombare la nazione, ma il male non è estirpato, anzi, si continua a risparmiare risorse per lo sviluppo e la gente muore. Se si continua a cementificare il territorio, a vendere il patrimonio, a considerare la ‘presunta’ economia l’unico motore, questo governo reitera lo scempio. Se un assessore di Mantova, detto ‘Attila’, professore di economia a Parma, può permettersi di proporre di abbattere e ricostruire i beni pericolanti per creare ‘una nuova socialità’, questa politica uccide il vivere sociale”, ha tuonato Settis. “Non è questo il nostro modello di tutela che, a differenza di quello orientale di ricostruzione, ha una secolare storia di cura e salvaguardia, edificato dalle nostre Sovrintendenze oggi tristemente imbavagliate e incapaci di intervenire, a favore di una Protezione Civile che, per formazione, non può avere le competenze necessarie ma è stata preposta all’intervento d’urgenza”.

Ma non finisce qui. Perché il professore ne ha anche nei confronti di un ministero sempre più diafano: “Il Ministero dei Beni Culturali è morto. Era in fin di vita al taglio del 40% del bilancio che attuò il precedente governo. Bondi, Galan, Ornaghi in sequenza ucciderebbero qualunque ministero di qualunque Paese”, sentenzia Salvatore Settis all’incontro organizzato all’Archiginnasio di Bologna da La Repubblica. Pochi docenti, molti studenti, famiglie con bambini ad ascoltarlo. E lui continua: “La riforma Veltroni e Melandri ha depotenziato le Sovrintendenze, mettendo in serio pericolo l’Italia, che si è trovata a fronteggiare il terremoto dell’Aquila nel peggiore dei modi possibili. Quando Gianni Letta, abruzzese per giunta, si presentò come sponsor dell’alleanza fra la Protezione Civile e il Ministero, tra Bertolaso e Bondi, il danno era ormai irreparabile. L’Aquila fu puntellata con tubi innocenti di piccole dimensioni per far guadagnare le imprese. Nell’anno della frana su Giampilieri, mentre Bertolaso dichiarava di non avere 2 miliardi per la messa in sicurezza di quei luoghi, la ministra Prestigiacomo ne dichiarava 12, di miliardi, per il Ponte sullo Stretto. E il fantasma delle Grandi Opere incombe ancora sui nostri giorni”, prosegue inarrestabile. 

Si sono fatti molti errori: si è separato i Beni culturali da quelli ambientali, non si è permesso ai Sovrintendenti di adottare misure in caso di urgenza, si sono create leggi che consentono alla Protezione Civile di sospendere le leggi ‘ordinarie’, non si è rispettata la nostra Costituzione, che è una delle più lungimiranti al mondo, si è permesso di ipotizzare in Emilia soluzioni affini a quelle proposte all’Aquila senza imparare dalla Storia”.
Non risparmia nessuno, Settis, e fa nomi, cognomi e soprannomi, resi pubblici insieme alle soluzioni proposte. Che sono le seguenti: 1. strutturare la prevenzione; 2. gestire l’emergenza con competenza; 3. attuare una manutenzione programmata dei beni culturali; 4. potenziare l’insegnamento della Storia dell’Arte nelle scuole; 5. combattere l’illegalità. “Perché è chiaro che era illegale costruire capannoni come quelli che qui sono crollati, facendo vittime sul lavoro”. Sono crollate chiese e capannoni, beni spirituali e beni materiali. Qualcuno ha giudicato, in tempi di crisi, che fosse più importante risollevare al più presto i secondi, ma “non può esistere gerarchia, non c’è una gara tra Cultura e Economia, devono andare di pari passo, anche e soprattutto, in tempi di crisi”, sostiene Settis. 

Il quale invita alla “resistenza” individuale dei singoli e a quella collettiva delle associazioni, contro chi non tutela il patrimonio e la legalità: “Legalità e bellezza nel nostro Paese hanno in comune la fragilità”. E mentre tra il pubblico c’è chi si chiede come mai non sia lui il nostro ministro ai Beni Culturali, lui lancia un monito: “La Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova è in serio pericolo, va messa in sicurezza prima che sia troppo tardi”. 

Terremoto in Abruzzo: rischi sottovalutati, Bertolaso indagato per omicidio colposo

Il superGuido nazionale accusato per il modo deliberatamente "basso" ("solo un'operazione mediatica") con cui organizzò la riunione all'Aquila della Commissione grandi rischi prima del terremoto del 2009




E' finito sul registro degli indagati con l'accusa di omicidio colposo, Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile e ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio, per le indicazioni con le quali aveva organizzato all'Aquila la riunione della Commissione grandi rischi prima del devastante terremoto del 6 aprile 2009 nel quale moritono 309 persone. “E' un'operazione mediatica per tranquillizzare la gente”, aveva spiegato Bertolaso in una telefonata all'ex assessore  regionale alla Protezione civile, Daniela Stati. L'intercettazione era finita tra le carte dell'inchiesta sugli appalti del G8 della Maddalena aperta dalla procura di Firenze ed è stata trasmessa al  procuratore capo del capoluogo abruzzese Alfredo Rossini che però ha aperto il fascicolo  a carico del superGuido nazionale solo dopo le denunce presentate dall'avvocato aquilano  Antonio Valentini e  dalla sezione locale di  Rifondazione comunista. Ora i magistrati stanno studiando la possibilità di unificare quest'ultimo procedimento con quello già in fase dibattimentale a carico dei sette partecipanti alla riunione del 30 marzo 2009. Proprio l'8 febbraio, alla prossima udienza del processo contro la Commissione Grandi rischi, era prevista la deposizione come testimone di Bertolaso  che a questo punto però non sarà più convocato. 
“Facciamo una riunione all'Aquila  con tutti i massimi esperti di terremoto per rassicurare la popolazione”,  comunicava Bertolaso ad una riverente Daniela Stati nella telefonata il cui audio è ormai perfino su youtube. “Devono spiegare che sono meglio 100 scosse che nessuna – aggiungeva, facendo riferimento allo sciame sismico che da settimane terrorizzava gli aquilani  - perché 100 scosse liberano energia e così una scossa forte non ci sarà mai”. Il capo della Protezione civile, invece, aveva un'unica preoccupazione: sedare la tensione sociale in modo da poter continuare a lavorare al grande evento della Maddalena, palcoscenico necessario al presidente del consiglio. Anche l'allora assessore Stati fece la sua parte dichiarando alla televisione locale Tv1, a conclusione della riunione della Commissione, che non c'erano motivi di preoccupazione. 
Gli aquilani che già bocciarono la proposta di conferire la cittadinanza onoraria a Bertolaso, a differenza di altri piccoli comuni del cratere guidati da giunte di centrodestra,  ovviamente hanno reagito male alla diffusione dell'intercettazione telefonica: la città è stata tappezzata di manifesti contro il brutto film diretto dall'”uomo della Provvidenza che tutto il mondo ci invidia”.

Finale Emilia: famiglia cacciata dalla tendopoli e aggredita dalla Polizia

Queste sono notizie che non vorremmo mai dare.  Quello che è successo a questo ragazzo di Finale Emilia merita tutta la nostra attenzione. Queste cose non dovrebbero mai accadere. Quando capitano si ha il dovere di denunciarle. Non sei solo Ale. E voi, attenti: non abbassiamo la guardia.

Ecco le sue parole:
Buongiorno a tutti, sono un finalese.
nella giornata di mercoledì 27 giugno, io e mia madre come consuetudine ci siamo recati per il pasto al campo 1 della protezione civile; durante la distribuzione dei pasti ci hanno fatto scegliere se mangiare il melone o il formaggio come secondo (veniamo messi davanti a questa scelta perchè dicono che il cibo scarseggia) abbiamo optato per il formaggio e ci siamo recati ai tavoli per mangiare.. durante la consumazione del pasto abbiamo notato che nei piatti dei volontari della protezione civile c era sia il melone sia il formaggio, per non parlare del vino che tenevano sopra al tavolo (assolutamente vietato dentro i campi).
A questo punto mia madre è andata a chiedere spiegazioni e siamo stati cacciati dal campo.
La mattina del 28 alle ore 10 circa, la mia famiglia è stata svegliata da pugni contro il camper (situato nel parcheggio delle scuole elementari dal 20 maggio perchè la nostra casa è inagibile) dalla polizia locale di Milano, mia madre ha aperto la porta e 2 poliziotti chiedevano in maniera molto arrogante i documenti per poter procedere ad una identificazione, mia madre davanti a tanta maleducazione si è rifiutata e uno degli agenti gli ha sferrato un calcio sullo stinco ed una sberla in pieno viso. all arrivo dei carabinieri “ovviamente” il poliziotto sembrava un gattino dolce.
Siamo stati al pronto soccorso e il referto dice 7 giorni di prognosi.
Impossibile esporre qualsiasi denuncia perchè non ci sono i testimoni (i famigliari non possono testimoniare), inoltre mediaset e rai non vanno contro le istituzioni.
Io mi chiedevo se noi come finalesi possiamo unirci e fare qualcosa.. Troppa gente pagata che gira in qua e in la per il nostro paese senza darci alcuna risposta sulle nostre case e sul nostro territorio, anzi ci prendono a sberle!

giovedì 28 giugno 2012

LA CHIESA LUCRA CON IL PORNO: 1 MILIARDO E MEZZO IN DVD E LIBRI PER ADULTI


La Weltbild è una produttiva azienda tedesca che possiede un discreto numero di librerie e ha un fiorente commercio on line. Fino a qui nulla di strano, ai più smaliziati potrebbe scappare giusto un sorriso, scoprendo che i loro prodotti principali sono volumi erotici e un considerevole catalogo di dvd per adulti, in fondo, nel mondo di oggi, la pornografia non fa più molto scalpore, anzi. 
La sorpresa viene fuori, quando si scopre che la società è controllata interamente dai Vescovi della chiesa tedesca 1,6 miliardi di euro, non proprio uno scherzo, entravano nelle casse del clero attraverso questo commercio, diciamo, poco ortodosso, almeno per chi professa castità, astensione e disconosce le più elementari pratiche di prevenzione nel sesso.
«Da trent’anni la chiesa traffica con Weltbild», ha scritto l’autore dell’articolo, Bernhard Müller, «un flirt con il denaro e con il potere che dura da un trentennio. In spregio agli obblighi etici e teologico-morali, la Chiesa ha trasformato il proprio gruppo in un major player nel settore dei media»
La questione è seria (anche perché Weltbild.de, uno dei portali del gruppo per la vendita online, in Germania ha un giro d’affari secondo solo ad Amazon), ma non nuova. Per anni sono arrivate richieste di chiarimento, proteste, in particolare da semplici cattolici, finché nel 2008 il citato Müller, insieme ad altri, non presentò una documentazione di settanta pagine, inviata a tutti i vescovi delle diocesi con quote nella società, con la quale si dimostrava che Weltbild «guadagnava molto denaro grazie alla diffusione di libri erotici, sull’esoterismo, sulla magia, sul satanismo e esaltanti la violenza». Ma non servì a nulla. Il commento più significativo fu quello arrivato a Müller dalla diocesi di Monaco-Frisinga, per mano del responsabile finanziario, Sebastian Anneser, il quale su incarico dell’arcivescovo Reinhard Marx scrisse che il dossier «aveva scovato tutte le erbacce», tuttavia, «come sacerdote per il quale anche la credibilità di una grande impresa ecclesiastica è una grossa faccenda mi risulta difficile impiegare l’energia esclusivamente per strappare via fino all’ultima erbaccia, pur sapendo bene che in questo modo corro il rischio di distruggere lo stesso grano che è nel campo». Lette queste considerazioni Müller non ha voluto credere alla volontà espressa allora dal cardinale Marx: «Nelle nostre case editrici non vogliamo né pornografia, né esaltazione della violenza. Qualora ne venissimo a conoscenza le perseguiremmo col fine di impedirle». Da allora, purtroppo, non è cambiato praticamente nulla.
Proprio a seguito della notizia, lo scorso novembre si erano mobilitati molti gruppi cristiani conservatori, per chiedere la cessione dell'attività, non giudicandola in linea con i principi e la morale di un'impresa clericale. Per questo si era arrivati a decidere di vendere la società. Ma negli ultimi giorni, ancora un colpo di scena, in un recente articolo il Frankfurter Allgemeine Zeitung rivela che non ci sarà alcuna dismissione, solo una trasformazione in una fondazione e Carell Halff, delegato amministrativo, conferma, aggiungendo:
"Ho colto molto positivamente la decisione. È la scelta più giusta per la società e i sui i 6500 dipendenti"
Una particolare responsabilità ricade su Klaus Donabauer, direttore finanziario della diocesi di Augusta e presidente del consiglio d’amministrazione di Weltbild.de, dunque corresponsabile dei prodotti venduti dall’azienda. Appena lo scorso 20 ottobre aveva emesso un comunicato firmato insieme a padre Hans Langendörfer, il gesuita segretario della Conferenza Episcopale Tedesca, con il quale sottolineava che «quanto viene offerto da Weltbild viene costantemente verificato in relazione ai vincoli dettati dai valori cari ai soci ecclesiastici».

Oltre a questa presa di posizione, la sola risposta alle nuove accuse lanciate da Welt.de è arrivata il 27 ottobre da parte della società (i vescovi delle diocesi con quote in Weltbild continuano a tacere). Dopo essersi lasciata andare a una sottile, quasi ridicola distinzione tra "pornografia" ed "erotismo", Eva Grosskinsky, la responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, ha ritenuto di poter offrire una risposta degna con precisazioni sui numeri delle vendite («Né Weltbild né i suoi soci guadagnano "milioni" con la pornografia») e spiegando che «l’offerta attivamente compilata da Weltbild viene integrata in internet da ciò il mercato librario tedesco può offrire a livello di commercio all’ingrosso». Sarebbe lì che «si trovano pubblicazioni di contenuto erotico». Non una parola sul tema della partecipazione a Droemer Knaur. L’unico risultato del can can scatenatosi nei giorni scorsi è stata un po’ di cosmesi: se si entra su Weltbild.de alla ricerca di titoli che abbiano attinenza con «Sex» o «Erotik» non si troverà al momento più nulla. Lo stesso non vale ancora per Droemer Knaur…
Intanto l'assemblea dei soci avrebbe deciso che tutti i proventi saranno destinati ad opere caritatevoli,culturali e religiose, senza possibilità di guadagno per gli stessi. A questo punto, però ci sarebbe da chiedersi cosa intendano per "religiose", augurandoci di non scoprire altri "dubbi" campi semantici per questa parola.

mercoledì 27 giugno 2012

La brillante carriera della figlia di Elsa Fornero Due posti fissi nell'università di famiglia



Insegna nell'ateneo dei genitori e guida una fondazione finanziata dalla Sanpaolo, di cui la madre era vicepresidente

Silvia Deaglio,
Figlia di Enrico Deaglio
e del Ministro Elsa Fornero


Tra i bersagli delle proteste e delle ironie della Rete c'è anche Silvia Deaglio, figlia del ministro Elsa Fornero e di Mario Deaglio, economista e giornalista. Perché, di posti fissi, denuncia il web, ne avrebbe due, a 37 anni: professore associato di Genetica medica alla facoltà di Medicina dell'Università di Torino (dove insegnano sia il padre che la madre) e responsabile della ricerca alla Hugef, una fondazione che si occupa di genetica, genomica e proteomica umana. Alcune sue ricerche sono state finanziate dalla Compagnia di Sanpaolo, fondazione che è la prima azionista della banca Intesa Sanpaolo, di cui sua madre era vicepresidente. Il profilo professionale di Silvia Deaglio è di rilievo, ha alle spalle esperienze in alcune tra le più prestigiose strutture sanitarie del mondo, le sue pubblicazioni sono di alto impatto. Eppure dai commenti raccolti sulla rete - blog, twitter, facebook - si palpa con la mano lo stupore della carriera della figlia del ministro in relazione ad alcune recenti dichiarazioni di vari autorevoli membri del governo a proposito della monotonia del tempo indeterminato, i giovani mammoni e sfigati e l'illusione del posto fisso vicino casa.

Nata nel 1974, a soli 24 anni si è brillantemente laureata in Medicina, per poi specializzarsi in Oncologia nel 2002, con il dottorato in genetica umana conseguito nel 2006. Appena conseguito il Master, e mentre ancora svolgeva un dottorato in Italia, ottiene un incarico presso il prestigioso Beth Israel Deaconess Medical Center di Harvard, il celebre college di Boston. Sulla rete segnalano che in quel periodo Silvia Deaglio era contemporaneamente ricercatore non confermato a Torino, dottoranda nella stessa Università e collaboratore (per la precisione instructor) dell'università del Massachussets.

Anche in passato, la Deaglio, ha capitalizzato più di un incarico contemporaneamente. Come si diceva è diventata associata a 37 anni, sei anni in anticipo rispetto alla media di ingresso dei professori di prima fascia. E il concorso è andato a vincerlo nella facoltà di Psicologia di Chieti, nel 2010, prima di essere chiamata nell'ottobre del 2011 a Torino, l'università di famiglia. Nonostante vanti un curriculum di 21 pagine e oltre cento pubblicazioni, e sia riconosciuta come una brillante ricercatrice, alla professoressa Deaglio ha probabilmente giovato nella valutazione comparativa il ruolo di capo unità di ricerca all'Hugef. L'incarico risale al settembre 2010, quando la ricercatrice era ancora al gradino più basso della carriera accademica. Nello stesso periodo la commissione d'esame che l'ha nominata docente di seconda fascia si riuniva per l'ultima volta. Come detto, l'Hugef è finanziato dalla Compagnia di San Paolo, all'epoca vicepresieduta da mamma Elsa Fornero. I due fatti non sono collegati. Nei verbali del concorso, oltre ai molti titoli, corsi e premi vinti, si legge testualmente: «La candidata dimostra inoltre un'ottima capacità di attrarre fondi di finanziamento per la ricerca: infatti è responsabile di rilevanti progetti di ricerca».

Enzo della Croce 
27 Giugno 2012

"Costruzioni 2020"; Infrastrutture e riqualificazione energetica









Per risolvere la crisi anche l'Unione Europea si rivolge all'edilizia. Nei prossimi mesi infatti, ma sembra sempre troppo tardi, l'Europa lancerà una nuova strategia chiamata "Costruzioni 2020" ma che in realtà si baserà prevalentemente sulla riqualificazione energetica degli edifici e sulla manutenzione delle infrastrutture.


Il prossimo varo è stato annunciato dal vice presidente della Commissione europea Antonio Tajani, ad Istanbul in occasione del congresso della Federazione dell’Industria Europea delle Costruzioni.

Secondo il commissario Ue all'Industria e all'imprenditoria, infatti, “oltre l'80% degli edifici esistenti andrebbe sottoposto a interventi di riqualificazione”. Secondo le prime stime, la nuova strategia di Bruxelles potrebbe determinare, ogni anno, un risparmio di 5 miliardi di euro sulla bolletta energetica europea, oltre alla creazione di 500 mila nuovi posti di lavoro.



La strategia europea per far ripartire il settore sarà incentrata su 5 obiettivi chiave: 1) creare le condizioni favorevoli agli investimenti, migliorando l’accesso al credito e all’utilizzo dei fondi strutturali, mantenendo gli incentivi fiscali a livello nazionale e introducendo i “Project Bonds; 2) migliorare le competenze e le qualifiche professionali del settore; 3) stabilire una metodologia comune per la valutazione dell’impatto ambientale e proporre degli standard allo scopo di facilitare le valutazioni alle imprese edili, al settore assicurativo e agli investitori; 4) rafforzare il mercato interno per le costruzioni; 5) promuovere la posizione competitiva delle imprese di costruzioni sui mercati internazionali.

La Presidente uscente della Federazione dell'Industria Europea delle Costruzioni (Fiec), Luisa Todini, ha colto l’occasione per sottolineare che “c’è un grande potenziale legato alla ristrutturazione di edifici esistenti, alle energie rinnovabili, alla mobilità sostenibile e alle infrastrutture energetiche, ma molto spesso mancano i finanziamenti e il quadro normativo non incoraggia gli investimenti a lungo termine”.



Ma la Legge Comunitaria 2011, che porterà in Italia all’attuazione della Direttiva 2010/31/CE sulla prestazione energetica nell’edilizia, è ancora all’esame del Senato e solo dopo potranno essere ufficializzati e resi operativi i vari contenuti con i decreti legislativi di recepimento della Direttiva.




Enzo della Croce
27 Giugno 2012

martedì 26 giugno 2012

LA BIOGRAFIA CRIMINALE DI ANTONIO MANCINI, UNO DEI CAPI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA


La storia della Banda della Magliana (ascesa e distruzione), il rapimento di Emanuela Orlandi, l'omicidio di Mino Pecorelli, il Vaticano, i segreti dello IOR, di Calvi, Sindona, i rapporti con Andreotti, Gelli e la P2, il sequestro di Aldo Moro e altro ancora...ecco la versione dell'Accattone, oggi collaboratore di Giustizia 

Rita Di Giovacchino e Malcom Pagani per "il Fatto quotidiano"
Emanuela OrlandiEMANUELA ORLANDI
"Io non sono buono, sò un figlio de na mignotta". I capelli bianchi, gli occhi neri, due fessure protette dagli occhiali. La biografia criminale di uno dei capi della Banda della Magliana riversata su nastro in un pomeriggio marchigiano di caldo, cicale e confessioni. Jesi è un silenzio. Un ordine irreale. Antonio Mancini, l'accattone, ci vive da 16 anni. Ai tempi in cui divideva proventi, cocaina e azioni con gli amici fascisti, Mancini sfiorava l'eresia.
antonio mancini detto accattoneANTONIO MANCINI DETTO ACCATTONE
Leggeva Pasolini, prendeva la mira parafrasando Mohammed Alì: "Bumayè", regolava conti, dominava Roma: "Ero un drizzatorti. Conquistavo zone, esigevo crediti, punivo gli insolventi. A San Basilio i nomi delle strade erano paesi delle Marche. Quando me sò pentito mi è venuto spontaneo indicà uno di quei posti". Integrazione completata. Oggi Mancini è un uomo libero. Quindici anni di carcere. Condanne scontate. Nessuna pendenza. È seduto a casa sua. Immagini di Che Guevara, volumi di Marx, Bibbie, Vangeli. Da un computer le notizie sul ritrovamento dei resti di De Pedis a Sant'Apollinare.
genitori emanuela orlandiGENITORI EMANUELA ORLANDI
Di altre ossa: "Non sono di Emanuela Orlandi e tutta l'operazione è fumo negli occhi. Domani si potrà urlare «visto che il Vaticano non c'entra nulla?». Perché non hanno aperto prima? Troppo champagne ubriaca e qualcuno, anche tra gli inquirenti, ha riempito i bicchieri fino all'orlo". Nel tempo libero, quando i demoni di un passato incancellabile non tornano a fargli visita, Mancini aiuta i disabili. Loro non sanno.
E lo adorano. "Un giorno vidi passare un pulmino pieno di ragazzini. Salutavano. Andai da Sebastianelli, il commissario di Polizia del luogo e lo pregai: ‘Mi dia una possibilità, sarei felice di fare il buffone per loro'. Lui garantì per me e adesso, quell'impegno è diventata la ragione della mia vita". L'accento romano è imbastardito. I ricordi lucidi. La rabbia ancora giovane. "Sono anni che dico che la Magliana è viva. I magistrati mi danno retta a intermittenza, ma nessuno ha la forza di smentirmi. Io non ho opinioni. A domanda rispondo e se non so, sto zitto".
andreotti giulioANDREOTTI GIULIO
Quante persone ha ucciso, Mancini?
Con la "bandaccia" tante. Prima, quando operavo a Val Melaina, ancora di più. Ogni volta che dovevo ammazzà qualcuno io dicevo "lo mandamo a salutà Adriano". Era come una parola d'ordine.
Mino PecorelliMINO PECORELLI
Chi era Adriano?
Mio padre. Comunista tutto d'uno pezzo. Me diceva sempre "addavenì baffone". Sotto lo studio di Lucio Libertini, il deputato, aveva messo le radici. Libertini gli aveva promesso una casa popolare. Noi vivevamo in otto in due camere. Ma baffone non arrivava mai e mio padre è morto senza avere un tetto. E io guardavo quelli con il Rolex e la Ferrari e mi ripetevo: "Mejo dù anni ar gabbio che stà in due camere con sei creature".
Quale è l'omicidio che le è più rimasto impresso?
Quello di Nicolino Selis. Lui temeva di finire ammazzato, ma riuscimmo a fissare un appuntamento in una villa di Ostia. Gli dissero che ero uscito dalla Banda, che mi ero messo in proprio. E lui cadde in trappola. Scavammo la buca e lo aspettammo. Mi trovò seduto su un divano ed ebbe il coraggio di scherzare: "Accattò, ma che finaccia hai fatto". Io mi girai e risposi: "non sai la fine che stai a fa te". Un secondo dopo, Abbatino tirò fuori la baiaffa da una scatola di cioccolatini e gli sparò in testa. Poi presero la mira anche gli altri.
Pentimenti?
Affrontavo le curve a 300 all'ora ed ero convinto che sarei morto a 30 anni. Ho risparmiato gente che avrebbe meritato di morire e ucciso fratelli che si fidavano di me.
giovanni paoloGIOVANNI PAOLOLARRESTO DI ANTONIO MANCINI jpegLARRESTO DI ANTONIO MANCINI 
E le sembra normale?
Un mio amico studioso di sciamanesimo sostiene che in fondo non sia successo niente. Il mio è solo un percorso di vita. A 12 anni volevo dominare il mondo. Quando la cavalcata epica si è trasformata in una pozzanghera di sangue, ho detto basta. La mia prima figlia era cresciuta senza un padre, non volevo che con la seconda accadesse lo stesso.
Uccideva per i soldi?
Sono stato miliardario, ma il denaro l'ho sempre disprezzato. I soldi li ho avuti ma me li sò magnati tutti. Adesso sono rovinato, dormo in uno spazio grande come una cabina telefonica. Ci siete, potete valutare.
Quanti metri quadri?
Metri? Centimetri. Sono stato io a chiedere al Comune di vivere qui in periferia. Neri, gialli, rossi. Gente che ti suona alle due di notte. "Che c'hai una birra?" Lo stagno mio.
Ieri nuotava nella criminalità.
Come Renatino De Pedis, di cui oggi si parla tanto. Con lui ruppi nel momento in cui fece uccidere Edoardo Toscano e fui contento quando l'ammazzarono. Toscano, l'operaietto, componente della banda, era un mio amico.
Flavio CarboniFLAVIO CARBONI
De Pedis non lo fu mai?
Non era più un bandito, si era imborghesito. Oggi sarebbe in Parlamento. Dalla nuova banda che si era creato tra Tor Pignattara e Marranella si faceva chiamare Presidente.
DePedis EnricoDE PEDIS ENRICO
Lo pretendeva anche da voi?
Io gli sputavo in faccia. Era entrato in un giro strano con Massimo Carminati, un fascista che oggi fa i miliardi con i ristoranti.
Sabrina Minardi - l'ex compagna di De Pedis - dice che tutti sapevano che Renatino era l'uomo del Vaticano.
E del Cardinal Poletti. Renatino fu accompagnato in Vaticano da Enrico Nicoletti e Flavio Carboni. Di suo, De Pedis non sapeva "accucchià" due parole in italiano. Ma era bello. Regale. Presentabile. Mi veniva a prendere la domenica, andavamo alla pasticceria Andreotti e poi al Bolognese. Quando parlava con il potente di turno o l'onorevole si inchinava. Io lo cazziavo e lui ribatteva: "Ah Nì, adesso mi inchino io, dopo si piegheranno loro".
Che ruolo ebbe De Pedis nel rapimento Orlandi?
Guidò la macchina che servì al sequestro della ragazza. Il rapimento fu deciso da mafiosi e testaccini. C'erano soldi che non rientravano e la scelta era tra lasciare qualche cardinale a terra ai bordi della strada o colpire qualcuno che fosse vicino al Papa e che aveva rapporti economici con noi per marcare un segno. Scegliemmo la seconda strada.
Aldo MoroALDO MOROEMANUELA ORLANDIEMANUELA ORLANDI
Quanti soldi?
Più di duecento milioni di dollari che la banda aveva riciclato per lo Ior e che non aveva più rivisto dopo il crack dell'Ambrosiano. Io e Danilo Abbruciati nell'81 andammo a Milano, per incontrare gente del Banco legata a Calvi e alla P2. A portare a Wojtyla la foto scattata in piscina a Castelgandolfo in cui lui era circondato dalle suore fu Gelli in persona. Tutto era legato.
Abbruciati morì nell'82, ucciso da una guardia giurata dopo il fallito attentato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano.
La guardia giurata non sparò mai e subito dopo scomparve nel nulla. Abbruciati non era uno sprovveduto. Lo ammazzò lo Stato, perché Danilo aveva visto troppo. Pensate che a Milano sarei dovuto andare io. Danilo si rifiutò: "Se viaggio io otteniamo più soldi".
Perché proprio la Orlandi?
Ve l'ho detto. Il padre di Emanuela non era un semplice messo. Era molto di più.
L'ha mai detto ai famigliari?
Quando vidi Natalina, la sorella di Emanuela, negli studi di Chi l'ha visto? le dissi esattamente così. D'altronde Nicola Cavaliere, un bravo poliziotto, inascoltato, lo disse subito. "La Orlandi è legata ai soldi della Magliana". I giudici lo ignorarono, nessun magistrato voleva un carico del genere. Ora hanno detto che mi chiamerà l'Antimafia. Sto qui, vado, non mi nascondo. Non ho paura di niente.
Franco Giuseppucci detto Er NegroFRANCO GIUSEPPUCCI DETTO ER NEGRO
Non ha perso l'arroganza dei tempi d'oro.
Non è questione di arroganza, ma di verità. Quando decisi di collaborare per la prima volta erano presenti Otello Lupacchini e il questore Fiorelli. Fui chiaro: "Volete il mio aiuto? Non vi ho cercato io. Se lo volete sappiate che smonterò una a una le bugie di Abbatino". Rimasero sorpresi.
ANTONIO MANCINI DETTO ACCATTONE jpegANTONIO MANCINI DETTO ACCATTONE OGGI
Il libro di De Cataldo?
Un bufalificio. In Romanzo criminale ha scritto che disprezzavo Pasolini dandogli del frocio. "A De Catà, io leggevo Pier Paolo quando tu ancora non eri nato".

C'è chi sostiene che la Magliana fosse anche dietro al caso Moro.
Certo, fummo noi a trovare il covo di Via Montalcini. Selis lavorava anche per Raffaele Cutolo e passò la dritta a Franco Giuseppucci, detto "er negro". Fu lui a portare la notizia a Flaminio Piccoli. Si incontrarono carbonari, sotto un ponte, vicino a Piazza Cavour. Le Br erano completamente eterodirette dai Servizi, infiltrate dallo Stato.
ANTONIO MANCINI DA GIOVANE jpegANTONIO MANCINI DA GIOVANE
Qualche storico ritiene che Moro a Via Montalcini non sia stato mai.
E invece c'era. Poi non so se sia passato anche a Palazzo Caetani o a Palo Laziale, come alcuni suggeriscono. Venni a sapere che le lettere di Moro e i video degli interrogatori erano stati presi da una ex amante di Danilo Abbruciati. Un'ex partigiana al soldo del Mossad. Danilo sul sequestro dello statista Dc sapeva tanto.
Furono esponenti della Banda della Magliana a sparare a Moro?
Possibile. Non mi meraviglierebbe. Noi, la Mafia, il Vaticano, la politica. Nicoletti gestiva i nostri soldi e quelli di Andreotti, contemporaneamente. Il resto dell'arco costituzionale, a iniziare dall'esponente antiterrorismo più in vista del Pci, sapeva tutto. C'erano rapporti con i socialisti. Si parlava spesso di un siciliano, un pezzo grosso. Uno che avevamo tra le mani, cui potevamo rivolgerci senza troppi problemi e dare disposizioni.
BANDA DELLA MAGLIANABANDA DELLA MAGLIANA
A proposito di Andreotti. Mancini cosa sa del caso Pecorelli?
Tutto. L'abbiamo ucciso noi e i siciliani. De Pedis aveva la pistola con cui era stato ammazzato. A finirlo andarono in tre. Angelo La Barbera e Massimo Carminati.
Il terzo?
Non lo dico, è un mio amico. Quando mi interrogarono il nome lo feci, ma aggiunsi: "Se lo verbalizzate non firmo neanche sotto tortura".
Un fascista?
Non attacca.
Il vostro referente mafioso a Roma?
Con Pippo Calò andavo a mangiare, ma non mi piaceva. Noi della banda pippavamo, quelli erano sempre in doppio petto. De Pedis dormiva a Villa Borghese in un appartamento dei servizi segreti, la coca stravolgeva molti ambiti. E la Magliana li controllava tutti. Facevamo riunioni con i vertici di Carabinieri e Polizia, con i servizi segreti, con chi ci avrebbe dovuto arrestare.
Frequentavate anche gente dello spettacolo?
L'attrice Gioia Scola stava sia con Paolo Berlusconi che con un amico mio. Quando andai a riferirlo in Procura, al nome di Paolo Berlusconi, il magistrato spense il registratore. Neanche Silvio, Paolo. Vi rendete conto? Sputtanare Gioia Scola andava benissimo, Paolo Berlusconi spaventava.
roberto calviROBERTO CALVI
Cosa sa della strage di Bologna?
Furono i fascisti manovrati dallo Stato. Forse gente intorno a Delle Chiaie, forse il gruppo di Massimiliano Fachini. Non Fioravanti e in ogni caso, qualcun altro della Banda intervenne in un secondo tempo allo scopo di depistare.
MAURIZIO ABBATINO PORTATO IN QUESTURA jpegMAURIZIO ABBATINO PORTATO IN QUESTURA 
Chi Mancini?
Massimo Carminati. Un fascista che teorizzava l'ordine nel disordine. Anarcofascisti si facevano chiamare."Noi uccidiamo il potere" urlavano. Mortacci loro.
Ha le prove per dirlo?
Se sarò chiamato a fornirle, le darò.
Pensa mai alle vittime?
Se è per questo anche ai carnefici. Alla P2. Con Abbruciati che come Giuseppucci, con i servizi aveva rapporti solidi, andavo nell'ufficio di Ortolani in Via Bissolati. Incontravo Luigi Cavallo, che voleva ancora fare il golpe e diceva di essere amico di Sindona. Noi volevamo salvare Francis Turatello, tirarlo fuori dal carcere e ai nostri interlocutori milanesi dell'Ambrosiano e ai piduisti l'avevamo detto chiaramente: "Ci avete chiesto Pecorelli e Moro e noi abbiamo rispettato i patti. Adesso tocca a voi".
Licio GelliLICIO GELLI
Ma Turatello morì a Badu ‘e Carros nell'agosto 1981 in modo atroce.
Un dolore enorme. Dicono che l'abbia ucciso Pasquale Barra sventrandolo e mangiandogli il cuore, ma è una cazzata. Barra prese quattro schiaffi, gli esecutori furono altri e l'ordine di far fuori Francis lo diede Luciano Liggio in persona. Francis riceveva lettere dai politici. Lo chiamavano capo.
IL CORPO DI ALDO MORO FOTO ANSAIL CORPO DI ALDO MORO
Per sparare ai fratelli Proietti nell'81, lei in Via di Donna Olimpia a Roma improvvisò un Far West.
Marcellone Colafigli era ossessionato dalla morte di Giuseppucci. Dormivamo nella stessa casa e a volte, di notte, si svegliava. "Nino, er negro è uscito dal televisore. Continua a ripete ‘na frase". Allora io lo assecondavo. "Che frase?" E lui: "Ahò, ma nun me vendicate mai?". Proietti era un ricattatore, bisognava farlo.
Impressiona sentirglielo dire.
Lo capisco, ma la mia vita non è stato un pranzo di gala. Ho incontrato infami e cornuti. Ho sparato,ucciso e sempre saputo che un colpo poteva ammazzare anche me. Quando te tocca te tocca, è inutile che ti guardi le spalle. Se arriva, arriva.
A De Pedis, nel '90, arrivò.
De Pedis era un cacasotto. Avrebbe dovuto morire prima, durante una pausa del processo. Colafigli che non gli aveva perdonato l'omicidio di Edoardo Toscano fremeva. Aveva preparato il laccio nel furgone dei Carabinieri. Era livido: "Stamattina je tocca". Lo fermai io. Fabiola Moretti, la mia ex compagna scrisse a Renatino: "Se te vuoi salvà mettite vicino a Nino". Lui eseguì, spaventatissimo. E io lo sfottevo: "Stà buono, non sudà". Forse così scemo non ero.
strage bolognaSTRAGE BOLOGNAmarcinkus-wojtylaMARCINKUS-WOJTYLA
Pazzo?
Quando dividevo l'abitazione con Pasquale Belsito, un neofascista, lo vedevo sempre giocare con le bombe a mano. Io e Colafigli pippati di cocaina come scimmie eravamo terrorizzati. Se essere pazzi assomiglia a un'esistenza così, sì, lo sono stato. Mi sono anche divertito. Con Abbruciati andavamo a donne. A volte, sul più bello, lo baciavo in bocca, così per creare un diversivo. Ve li immaginate due delinquentoni come noi impegnati a scandalizzare le ragazze?
La banda oggi?
Quando ho visto la foto di Mokbel (l'imprenditore romano che avrebbe supportato l'elezione al Senato di Nicola Di Girolamo, ndr) sul giornale mi è preso un colpo. Gennaro era il mio guardaspalle. Con Roberto D'Inzillo mi veniva a prendere in moto ogni mattina. Ha fatto sue le tecniche della banda, ma il più pericoloso, il vero capo di Roma, è un altro.
Chi?
Una nostra vecchia conoscenza uscita sempre indenne dai processi. Andate a controllare e troverete il nome.
Francis Turatello e VallanzascaFRANCIS TURATELLO E VALLANZASCAMichele SindonaMICHELE SINDONA
Come Flavio Carboni all'epoca della Magliana?
Non fatemi ridere. Carboni era patetico. Si travestiva con tacchi e parrucchino e faceva affari con Berlusconi. La prima volta che lo vidi però provai un sollievo assoluto. Se questo è il famoso Carboni, su Roma e sull'Italia comanderemo per tutta la vita.
C'è una morale in tutto questo?
Ho sempre diffidato delle morali e non sarei comunque la persona più adatta. Forse però aveva ragione Domenico Sica, l'ex alto commissario antimafia. Era certo che la Banda fosse più potente di Cosa Nostra e dei Servizi messi insieme. Non credo avesse torto.