martedì 26 giugno 2012

Giuseppe Uva: Torturato, violentato, ucciso in una caserma di carabinieri





Ne avevamo parlato il 28 dicembre scorso: una brutta storia, che aveva cominciato a circolare cinque giorni prima, il 23. Un’indiscrezione. Le agenzie non la diffondono, ma la notizia è data per certa, sicura. Un ragazzo, Giuseppe Uva, morto all’interno di una caserma dei carabinieri di Varese tre anni fa, prima di morire aveva subito violenze e torture anche di carattere sessuale. Lo si ricava dai reperti, è la conferma di quanto famiglia e amici sospettano, e per questo chiedono che su quella brutta storia si faccia luce, e invece si è fa di tutto per affossarla.
E’ il 23 dicembre, quando la notizia comincia a circolare. Anche noi, prudentemente, in attesa di conferme e riscontri, ci limitiamo a parlarne nei nostri forum di discussione. Arriva il 24. L’indiscrezione è confermata. La brutta storia diventa orribile. Ma il 25 è Natale, i giornali non escono; e non escono neppure il 26. Il 27 dicembre i giornali sono in edicola. Di questa orribile storia non una riga.
Il professor Adriano Tagliabracci dell’università di Ancona incaricato della perizia, scrive: “Sui jeans tracce ematiche e salivari di Uva. Materiale biologico non identificato diverso dal sangue, sperma e urine appartenenti a Giuseppe. In regione sacroperineale paramediana destra, oltre a sangue sono presenti cellule pavimentose con nucleo che possono essere derivate dalla regione anale o dalle basse vie urinarie. Il materiale risulta appartenere a Uva. Sui jeans tracce bio di altri soggetti in alcuni casi misto a quello di Uva”.
La storia, come ho detto, è una brutta storia, una storia orribile. Cos’è accaduto, in quella caserma dei carabinieri di Varese? La sorella Lucia racconta i terribili minuti di quando le viene mostrato il corpo di Giuseppe: “…Su tutto il fianco era blu, quei segni erano lividi. Poi vedo il pannolone. E mi chiedo: perché aveva il pannolone? Mia sorella prende il sacchetto in cui c’erano i pantaloni e li guardiamo. Erano pieni di sangue sul cavallo. Gli slip non c’erano. Gli ho tolto il pannolone e ho visto il sangue. Gli sposto il pene e vedo che aveva tutti i testicoli viola e una striscia di sangue che gli usciva dall’ano. Da quel momento ho giurato che avrei fatto tutto il possibile per arrivare alla verità sulla sua morte, un simile scempio non può restare impunito”.
Nessuno parla. Varese è la città vetrina dell’allora ministro leghista Roberto Maroni. Quando a Palermo Salvatore Marino, un mafioso o presunto tale, venne torturato e massacrato, all’indomani del delitto del commissario Beppe Montana, l’allora ministro dell’Interno Scalfaro letteralmente azzerò la pur valorosa squadra mobile palermitana; e fece benissimo, perché non è tollerabile che una persona, foss’anche mafiosa, venga torturata e uccisa in questura. Sempre se non si ricorda male solo un politico volò a Palermo al funerale di Marino: Marco Pannella. A Varese, la sua città, il ministro dell’Interno leghista Maroni non ha fiatato, non ha mosso un dito.
E ora si apprende che nel corso del processo sulla morte di Uva, il perito del tribunale ha detto che le evidenze scientifiche mostrano inequivocabilmente che il sangue presente sui pantaloni indossati da Uva "è di origine anale". E allora ha ragione il presidente di “A buon diritto” Luigi Manconi, a chiedere: "cos’è accaduto nella caserma durante quelle lunghe ore quando, secondo un testimone oculare, si sentivano “le urla strazianti” di Uva? Come è stato possibile che per quasi quattro anni l’indagine della Procura non abbia portato ad alcun risultato e abbia ignorato testimonianze e prove che avrebbero potuto consentire l’accertamento della verità?".

di VALTER VECELLIO - 07 Marzo 2012:


1 commento:

  1. Sono sempre stata a favore dell'arma,ma quando vedo queste orrende vicende, ma casca tutto addosso !
    Rosy Lemon d'Angella

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